Rosa Manauzzi, scrittrice e promotrice culturale di Latina.
A cura di Cora Craus –
“Proust… in terra pontina”, rubrica liberamente ispirata al questionario di Marcel Proust.
Risponde: Rosa Manauzzi, scrittrice e promotrice culturale di Latina.
La scrittura, una missione o una passione?
L’una è legata all’altra, in modo imprescindibile. Passione nata fin da piccolissima. Rimanevo incantata ad ascoltare i racconti degli storytellers (si dice così oggi) di famiglia, in primis il mio nonno paterno. Lui è stato il mio primo grande maestro sia di scrittura e narrazione e ha suscitato in me un grande interesse scientifico che, nel tempo, si è sempre più intrecciato alla mia predilezione per le discipline umanistiche. Le passioni si delineano quando siamo fanciulli e si è fortunati se qualcuno ci incoraggia a viverle. Ho avuto questa fortuna. Oggi come insegnante cerco di incoraggiare con forza i miei alunni a seguire le loro passioni. La mia casa era sempre piena di storie paesane, leggende, fiabe, racconti intorno al fuoco, enciclopedie colorate che si aprivano mostrando paesi lontani e culture sconosciute. Come avrei potuto sottrarmi al fascino della narrazione considerando che questa era spesso accompagnata da leccornie fantastiche che amplificavano i sensi e le emozioni famigliari? Ancora oggi accompagno la scrittura con un buon tè, un cioccolato, una tisana. Di sicuro non potrei rientrare nella categoria degli scrittori digiunatori o perdi sonno. Ho bisogno di vivere la scrittura non come distaccata dal resto della realtà quotidiana, ma completamente immersa in essa, con i bisogni del corpo come in quelli dell’anima.
Missione è una parola grossa. Non mi sfugge che ‘pubblicare’, ovvero rendere pubblici i propri scritti non può, e non deve, rientrare nello sfogo personale. Deve esserci un senso riconoscibile, persino utile, anche se non per forza amato da tutti. Voglio dire, si può scrivere all’infinito per se stessi. In tal caso meglio lasciare il manoscritto in un cassetto perché la finalità è già stata raggiunta. Però quando si pubblica si deve rispettare una funzione, comprendere che qualcun altro ci legge e il suo tempo è prezioso, come quello di chi scrive. Penso che la funzione sociale dello scrittore sia necessaria. Almeno credo in questo ruolo e mi adopero per soddisfarlo. Anche se vuol dire riprendere il proprio libro più volte, riscriverlo facendo passare mesi e mesi aggiungendo una virgola, una parola, sistemando una frase. Alla fine si dona quanto creato, e la propria creatura deve avere gambe per andare lontano da solo; deve pure saper dire buongiorno e grazie quando occorre.
Il tratto principale del suo carattere?
Probabilmente petali e spine, come il nome che mi hanno dato. Tuttavia, di me dicono spesso che sono zen. Deve essere il risultato delle pratiche orientali che seguo da oltre vent’anni. Se mi arrabbio lo faccio con calma. Ahah!
I Social network, una nuova opportunità o un nuovo incubo?
Sono uno strumento prezioso che risentono dell’eccessiva libertà nell’uso. Non ci sono limiti e se ci sono si tratta di regole facilmente aggirabili. Un po’ come tutto il mondo virtuale. Rappresenta una possibilità ma non dovrebbe essere confuso con il reale o abusato dimenticando che fuori c’è una realtà che attende di essere vissuta. Dietro ai social si gioca un po’ a nascondino, si diventa leoni da tastiera, ma se cerchi un confronto diretto cambia tutto, nasce un balbettio che svela fragilità. E poi sui social ci si arrabbia tanto! Ciò che in confronto faccia a faccia si potrebbe concludere con una risata, nel virtuale diventa un urlo prolungato e fastidioso, o una lagna, a seconda della situazione. Ciò che ritengo più pericoloso è la facilità con cui si condividono notizie false che finiscono per influenzare negativamente la vita sociale delle persone. Ce n’è per tutti: bufale politiche (in Italia, in cui la gente legge e approfondisce pochissimo può nascere un movimento politico quasi interamente condotto tramite i social sfruttando il vuoto informativo). E poi le bufale scientifiche, davvero odiose perché costituiscono un pericolo per la salute o fanno leva sulla disperazione della gente. È un problema che rientra in generale nell’analfabetismo di ritorno, dovuto a sua volta allo scarso interesse per la lettura, per la formazione continua, che dovrebbe essere la preoccupazione maggiore di ognuno di noi. Il mondo va avanti e la cultura personale arretra, si affievolisce e lascia spazio a messaggi di altri… a post di altri, che sostituiscono interi sistemi conoscitivi.
Il look, una faccenda da personal shopper o una scelta personale?
Il personal shopper è un lusso per pochi. Per fortuna! Lasciamo un po’ di spazio alla fantasia e alla libera scelta. Certo, non è sempre possibile, in termini economici, avere il look che si desidera. Comunque, di sicuro è qualcosa che dovrebbe interessare meno di altre tematiche. Se l’interiorità è ‘ben vestita’ risulterà ottimale qualsiasi abito indossato. Ho notato a questo proposito un fatto assai curioso: quando frequentavo il mondo accademico, i colleghi di altre università venivano a tenere conferenze vestiti in modo assai semplice. Da noi un giovane docente a contratto era capace di affittare un abito che gli sarebbe costato l’intero stipendio di un semestre per timore di sfigurare. Un fenomeno bizzarro, tutto italiano. L’apparire conta troppo. Stiamo perdendo sostanza, l’eleganza interiore.
Lei, personaggio centrale di una storia; chi è l’autrice, Anna Maria Ortese o Grazia Deledda?
Una scelta difficile. Entrambe grandi scrittici. Se proprio devo scegliere, dico Anna Maria Ortese, con la quale sento un’empatia molto forte in termini “naturalistici”. Il suo amore per l’ambiente e gli animali è anche il mio. Il suo ultimo libro, postumo, “Le piccole persone” (Adelphi, 2016) offre un’idea di quanta vicinanza ideale possa trasmettermi. Un libro da leggere assolutamente.
Una giornata speciale: con quale donna del passato vorrebbe incontrarsi?
Con le suffragette, per manifestare al loro fianco. Con le staffettiste partigiane, per aiutarle nella loro lotta. Con Marguerite Yourcenar, scrittrice che adoro, per farmi raccontare della sua vita vissuta in riva all’oceano, e con Virginia Woolf, per dirle di non suicidarsi e scrivere ancora e ancora e ancora.
Il femminicidio, un crimine come un altro?
Un crimine terribile non distinguibile da una concezione ancora primitiva della donna: oggetto di possesso, oggetto di sfogo, oggetto di passaggio. In generale rientra in una mancanza di valore per la vita del prossimo (quanti uomini vengono ammazzati ogni giorno con una facilità estrema e per motivi futili?) Si dovrebbe parlare più spesso anche di questo, della preziosità della vita in generale, educare alla sacralità della vita tutta, affinché la violenza smetta di essere considerata un modo comune di comunicare. Dall’altra rientra anche in una incapacità affettiva verso l’altro sesso non meno grave della poca considerazione culturale appartenente ad altri periodi storici o ad altri tipi di società che si poggiano su fondamentalismi religiosi. Il risultato è lo stesso. Mi fa rabbrividire per esempio l’idea che qualcuno voglia tornare alle case chiuse. In un tempo in cui la libertà sessuale consente facili approcci alla pari (per dirla alla Sartre) perché si dovrebbe pagare? È chiaro che dietro questa scelta, perché è una scelta, c’è tutta la frustrazione, la violenza cieca del possesso del corpo, l’idea di poter fare e disfare a proprio piacimento con l’ammenda del pagamento (come al tempo del feudalesimo i signori pagavano multe per porre rimedio allo stupro), l’incapacità di viversi una relazione affettiva; ma c’è pure il rifiuto di sé, la bassa autostima, la convinzione che il proprio corpo non possa bastare a se stesso e che abbia delle pulsioni animali che vadano per forza soddisfatte con un atto bestiale, senza sentimenti. Finché ci sarà prostituzione (che equivale a schiavismo da una parte e fragilità psichiatrica dall’altra, e non sono io a dirlo ma statistiche e gli Ordini degli psicologici e psichiatri) ci sarà chi si sentirà in diritto di cancellare l’esistenza di una donna. I due fenomeni sono strettamente correlati, a mio parere. In entrambi i casi non c’è più la donna, sparisce, è immobile, impotente, non contraccambia o non può più contraccambiare, c’è solo l’oggetto donna.
Il futuro dei giovani: l’Italia o l’Europa?
L’Italia in Europa, senz’altro. I giovani che sapranno muoversi in Europa, con competenze linguistiche insieme a competenze legate alle proprie passioni, al proprio lavoro, saranno vincenti. I giovani che allo stesso tempo sapranno anche portare l’Europa in Italia, valorizzando il proprio territorio, le bellezze artistiche italiane, le piccole realtà economiche e territoriali, avranno soddisfatto in pieno un sistema culturale ed eco-economico unico.
Il referendum mette in discussione l’articolo 8 della Costituzione?
Quello sulla libertà di confessione religiosa? E perché mai? La Costituzione non è né in discussione né in pericolo. Penso che il referendum poteva essere evitato, questo sì, l’Italia non ha bisogno di divisioni o di buttar via denaro. Ma si farà. Già i padri costituzionalisti avevano previsto la possibilità di cambiare qualcosa, quindi ogni tanto qualcuno proporrà dei cambiamenti. Si vada a votare con la massima tranquillità e si rispetti la scelta di ognuno. Non ci saranno grandi stravolgimenti né in caso di vittoria del no né in caso di vittoria del sì. Questo referendum servirà invece ad aprire un lungo dibattito su possibili aggiustamenti condivisi. L’impianto costituzionale non cambia.
Un tratto distintivo dei latinensi?
Molto legati all’immagine.
Un difetto di Latina?
Poca capacità di uscire dai confini e di confrontarsi con diverse realtà.
Un pregio della città?
Il meteo spesso favorevole e la presenza del mare.
Una priorità culturale a Latina?
Riaprire i palazzi della cultura, darli alle associazioni culturali, ricorrere alla gestione di esperti locali.
Un libro che tutti dovrebbero leggere?
La Bibbia. Non come libro religioso o depositario di verità religiosa. Tutt’altro, per riaffermare il suo libero valore storico-culturale e letterario. Come libro da cui partire per capire meglio la cultura occidentale.
Una scrittrice/re pontino da non perdere di vista?
Un uomo e una donna: Renato Gabriele e Bianca Madeccia. Meritano molta attenzione.
Un musicista pontino di cui tessere le lodi?
Vincenzo Bianchi, pianista e compositore. Formatore eccellente, richiesto da pianisti di tutto il mondo, e pianista di grande spessore, capace di passare attraverso generi molto diversi. Segnalo anche il giovane pianista Francesco Taskayali, un talento assolutamente da seguire, già catapultato sui migliori palcoscenici internazionali.
Un regista pontino che ammira?
Gianfranco Pannone. Un alto esempio di funzione sociale e culturale dell’arte unito ad un approccio molto rispettoso dell’interiorità altrui.
Un pittore pontino che tutti dovrebbero conoscere?
Sergio Ban. Un patrimonio artistico autentico immenso. Una ricchezza venuta meno troppo presto. Un artista che ha saputo attraversare secoli, plasmandoli in oggetti d’arte carichi di vita. Il suo sguardo attraversava la realtà riconoscendone ogni stratificazione. Osservare le sue opere oggi vuol dire ritrovare la storia di Latina e anche la storia di un’umanità che travalica i confini territoriali e temporali. Sicuramente un artista che tutto il mondo dovrebbe conoscere per la forza simbolica, l’energia vitale, la narrazione prorompente della sua arte.
La poetessa/ta pontino che più apprezza?
Ho già risposto citando i nomi di Renato Gabriele e Bianca Madeccia. La loro produzione spazia dalla poesia alla narrazione, fino al teatro.
Il nome della città: Littoria o Latina?
Fu Littoria, va storicamente riconosciuto, senza troppe nostalgie e impaludamenti da cui ci siamo liberati per volontà anche da chi ci ha preceduto. Adesso è Latina e in futuro sarà Latina. Il mondo va avanti. L’adattamento al nuovo ci fa evolvere. Al contrario, c’è l’estinzione.